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La Corte EU “bacchetta” il CDS su grave errore professionale e sanzioni antitrust

Nota all’ordinanza Corte UE, sez. IX, 4 giugno 2019 (C-425/2018)

Nota all’ordinanza Corte UE, sez. IX, 4 giugno 2019 (C-425/2018)

  1. PREMESSA

La decisione qui in commento fa rumore, prima ancora che nella sostanza, nella forma, perché emanata in forma semplificata in forma di ordinanza resa ai sensi dell’art. 99 del Regolamento di procedura, che così dispone “Quando una questione pregiudiziale è identica a una questione sulla quale la Corte ha già statuito, quando la risposta a tale questione può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o quando la risposta alla questione pregiudiziale non dà adito a nessun ragionevole dubbio, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata”.

Pur con il garbo istituzionale che è d’uso nei casi in questione, la forma della Ordinanza rappresenta, quindi, un vero e proprio rimprovero nei confronti del Consiglio di Stato.

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  1. I FATTI

La Corte UE si era trovata a decidere su di una questione mossa dal Tar Piemonte in un giudizio promosso avverso il provvedimento con cui, in autotutela, una stazione appaltante aveva disposto la revoca di un’aggiudicazione a favore di un soggetto che era stato oggetto di una sanzione da parte della autorità antitrust, per aver messo in atto comportamenti anticoncorrenziali in una gara Consip: tale soggetto era stato condannato a una sanzione multimilionaria proprio nel corso del procedimento di gara (sanzione confermata dai Giudici amministrativi).

Il Tar Piemonte, che aveva negato la sospensiva sul ricorso proposto dall’impresa esclusa, si era visto riformare la propria ordinanza dal CdS, che aveva ritenuto apprezzabilmente fondato (siamo nell’ambito di applicazione del D.lgs. 163/06) un motivo che assumeva rilevanti, ai fini del grave errore professionale ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), esclusivamente le condotte poste in essere nell’ambito dell’esecuzione degli appalti pubblici (e non quindi una sanzione emanata dall’autorità a tutela della concorrenza), con richiamo esplicito anche alla propria sentenza Cons. Stato, V, 17 aprile 2017, n. 3505, poi ulteriormente ribadita con la sentenza sez. V, 4 dicembre 2017 n. 5704  e con la sentenza 5 febbraio 2018 n. 722 (su cui sia consentito il richiamo al mio commento su lexitalia.it, al link http://www.lexitalia.it/a/2018/100918?hilite=%27antitrust%27 ).

In quest’ultima sentenza, in particolare il CdS aveva escluso il rinvio alla Corte, assumendo che “la questione non riveste i pretesi caratteri di complessità che ne giustificherebbero la rimessione alla Corte di giustizia”.

Ciò non aveva convinto il Tar Piemonte, che aveva invece (ordinanza 21 giugno 2018, n. 770) sollevato avanti la Corte UE la questione della potenziale rilevanza sulla partecipazione alle gare delle sanzioni antitrust.

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  1. L’ORDINANZA E CONSIDERAZIONI AL RIGUARDO

La Corte UE si è ora pronunciata, assumendo che i propri precedenti in materia fossero ben chiari (e che dunque non potevano essere disattesi dal CDS, che aveva deciso in senso diametralmente opposto) e chiarendo che nel concetto di grave errore professionale, nel contesto del D.Lgs. 163/06, trova spazio anche la violazione in materia antitrust.

La Corte ha rilevato che la nozione di “errore nell’esercizio della propria attività professionale” discende direttamente dall’art. 45, par. 2, primo comma della direttiva e può essere solo precisata o esplicitata (e quindi non esclusa) dal diritto nazionale.

Infatti, “a differenza delle disposizioni sulle cause di esclusione previste al medesimo comma, lettere a), b), e) ed f)” l’art. 45, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2004/18 “non rinvia alle normative e alle regolamentazioni nazionali”, e gli stati possono solo precisarne le condizioni della sua applicazione “conformemente al rispettivo diritto nazionale e nel rispetto del diritto dell’Unione” (par. 26 della ordinanza in commento).

Dunque, la previsione generale che era contenuta nell’art. 38 co. 1 lett. f) D.Lgs. 163/03 era conforme alla disciplina comunitaria, mentre non lo è la sua interpretazione, volta a limitarne aprioristicamente il campo di applicazione alla sola esecuzione dei contratti (come aveva fatto, invece, il CdS).

Essa comprende “qualsiasi comportamento scorretto” e non può “limitarsi ai soli inadempimenti e condotte negligenti commessi nell’esercizio di un contratto pubblico” (cfr. causa C-465/11 Forposta e Causa C-470/13 Generali).

L’esclusione può essere disposta dalla Stazione appaltante, purché vi sia stata una decisione dell’Autorità a ciò preposta comportante una sanzione, non avendo la sanzione in questione valenza di impedimento automatico (par. 34): si tratta, come detto, di ipotesi di esclusione facoltativa, basata su circostanze definite (e non certo disponibile a piacere da parte delle Stazioni appaltanti, che devono motivare al riguardo, in ragione delle specificità della gara).

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Si giustifica, peraltro e a mio avviso, un certo rigore per le sanzioni in materia di violazione della disciplina a tutela della concorrenza, perché l’intero Ordinamento comunitario (specie per le gare pubbliche) è funzionale al perseguimento della massima concorrenza: non è quindi ipotizzabile che chi sia stato sorpreso a “barare” possa impunemente essere ammesso a partecipare a procedure di appalto, senza che tale comportamento non sia in alcun modo vagliabile da parte delle stazioni appaltanti (e giustamente la necessità di poter escludere un soggetto che sia stato sanzionato per violazione della disciplina della concorrenza è stata ribadita nel considerando 101 della Direttiva 2014/24 e ripresa dalla ANAC nelle Linee Guida n. 6).

Certamente ci sono dei limiti precisi: occorre, oltre che una motivazione da parte della Stazione appaltante, una previa decisione dell’Autorità a ciò preposta dall’Ordinamento.

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Tale richiamo – incidentalmente – appare molto interessante anche in ambito sistematico, perché parrebbe ribadire un principio utile in altri frangenti recentemente spesso oggetto di discussione, ovvero le ipotesi (a mio avviso mal poste) di esclusione in situazioni di mera pendenza di un giudizio penale: ciò perché non è coerente con l’Ordinamento europeo e quello nazionale (oltre che con la logica) che siano considerate rilevanti ai fini della partecipazione alle gare situazioni ancora oggetto di accertamento, in contesti in cui esso è necessario ed è demandato ad un particolare procedimento, attesa la loro peculiarità e delicatezza.

Manca in quei casi quella “decisione dell’Autorità preposta” (peraltro nel caso in commento anche confermata in sede giurisdizionale) come detto ritenuta necessaria dalla Corte UE e che, per l’Ordinamento italiano è demandata al Giudice penale, in mancanza della quale l’esclusione appare illegittima.

Oltretutto – senza qui dilungarsi oltre – potrebbero porsi anche questioni di violazione del ne bis in idem, questione di recente affrontata anche nell’ordinamento europeo (cfr. ad esempio causa C-537/16 Ricucci, par. 63), oltre che di coordinamento con le cause di esclusione obbligatorie (nella precedente Direttiva, art. 45, par. 1).

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Tornando alla decisione in commento, in conclusione, essa conferma il ruolo di riferimento della Corte UE per i Giudici nazionali, anche in ottica di uniformità di giudizio tra TAR decentrati e Giudice di appello e di orientamento per i Legislatori nazionali.

(Avv. Massimiliano Napoli)