Commenti e sentenze

Appalti pubblici, matematica e “sorte”

Nota (critica) a Cons. Stato, ad. plen., 30 agosto 2018, n. 13

Quando la logica viene talmente abbandonata, da richiedere all’Adunanza Plenaria l’interpretazione di una formula matematica

Pochi, tra i non esperti di contratti pubblici, sanno che la gran parte degli appalti di lavori in Italia viene assegnata a sorte. Non al prezzo più basso, non alla migliore offerta tecnica, non al miglior connubio tecnico/economico. No: a sorte.

Vince l’appalto chi si avvicina ad un “magico numerino”, ovvero lo “sconto vincente”, calcolato sulla base delle offerte pervenute in gara: chi lo supera, è eliminato; chi più ci si avvicina, vince.

In concreto, grazie alle formule nel tempo inserite nelle norme, il magico numerino risulta intorno alla media degli sconti presentati; come se in una corsa podistica vincesse chi giunge esattamente a metà della classifica. Ovviamente, il meno che si possa dire di un premio così, è che non c’è nessun incentivo a correre veloce; cioè, fuor di metafora, a presentare offerte convenienti per la Pubblica Amministrazione (ma questo è un altro capitolo).

Bene. Per giungere al “magico numerino” senza che i concorrenti possano in alcun modo prevederlo (altrimenti, che sorte è?), l’attuale Codice dei contratti pubblici ha indicato addirittura cinque diversi metodi di calcolo: dopo la presentazione delle offerte, si sorteggia quale sarà la formula per calcolarlo. La sorte sulla sorte: una impresa potrebbe vincere l’appalto perché ha indovinato il magico numerino con una formula, ma ne viene estratta un’altra e perde.

Ok, penserete, per lo meno è un metodo matematico, e non ci sono questioni su chi vince, dopo il sorteggio. Eh no, perché chi scrive le norme non è neppure capace di tradurre in parole una formula matematica; e perché nel mondo della legge si pretende di interpretare perfino la matematica. Presente il detto “la legge per i nemici si applica, per gli amici si interpreta”? Ecco, ci siamo lasciati prendere la mano, andando ad interpretare pure i numeri.

Capita così che uno dei cinque metodi di calcolo sia scritto in modo particolarmente confuso (non è l’unico, dei cinque; ma è meglio stendere un velo pietoso sul resto).

Trattandosi di formula matematica, verrebbe da pensare che, per quanto mal scritta, la si debba interpretare letteralmente. Quindi, dove si parla di “media dei ribassi di tutte le offerte ammesse”, qualsiasi matematico (per tale intendendosi chiunque abbia frequentato le lezioni di matematica sino alla terza media) prenderebbe tutti gli sconti offerti da tutte le imprese, non escluse per ragioni formali o documentali, e ne calcolerebbe la media.

Per inciso: media che rileva solo per sapere se un certo decimale è pari o dispari; nel senso che se è pari il risultato di un altro metodo resta invariato, mentre se è dispari viene corretto, della percentuale pari al decimale. La sorte sulla sorte sulla sorte: dopo aver indovinato il numero ed azzeccato la formula giusta, si vince o si perde un appalto se un certo decimale è pari o dispari, e addirittura se, essendo dispari, è 3 e non 7 (anche questo, in ogni caso, è un altro capitolo).

Si diceva: trattandosi di formula matematica, la applichiamo letteralmente.

Invece no.

Nel mondo giuridico, che evidentemente non è un mondo reale, si è disquisito pure su questo.

La questione nasce dal fatto che l’altro dei cinque metodi, da correggere oppure no a seconda del risultato pari/dispari, chiede di non considerare, tra le “offerte ammesse”, un certo numero di offerte con gli sconti più elevati e di offerte con gli sconti più ridotti (c.d. “ali”). Non c’è dubbio che le “ali” siano offerte ammesse; semplicemente, in quel metodo, non le si considera nel calcolo.

Alcune sentenze ne hanno dedotto che, “di conseguenza”, anche per questo calcolo, come per quello, non si dovrebbero considerare le “ali”; nonostante in questo calcolo si parli solo di “offerte ammesse”, senza eccezioni. Ed il dissidio è stato talmente acceso, che alla fine è dovuta intervenire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, una sorta di “Sezioni Unite” della Giustizia Amministrativa.

Ovviamente, per non smentire il luogo comune secondo cui i giuristi non capiscono nulla di numeri e di matematica, l’Adunanza Plenaria (30 agosto 2018 n. 13) ha sposato la tesi che pretende di individuare “ragioni di omogeneità interpretativa”: per cui, a prescindere dalle parole impiegate nelle norme, il calcolo della media (per sapere se un certo decimale è “pari” o “dispari”) deve prendere in considerazione non tutte le offerte ammesse; bensì solo le offerte che non sono qualificate come “ali” a tutt’altri fini (e così, vince l’appalto una società che ha la fortuna di aver indovinato uno sconto che, in base all’estrazione del metodo ed al calcolo successivo, così come interpretati dai Giudici, diventa il “magico numerino”).

Contratti affidati a sorte in base alla legge, e formule matematiche che vengono “interpretate” a prescindere dal testo letterale, tanto da arrivare in Adunanza Plenaria.

Basterebbe questo per concludere che il sistema degli appalti in Italia non funziona.