Con l’ordinanza in commento, la Corte di Giustizia si è pronunciata sulle due questioni pregiudiziali poste dalla V sezione del Consiglio di Stato in materia di Società in house (con ordinanze di remissione n.138 del 7 gennaio 2019, n. 293 del 14 gennaio 2019 e n. 296 del 15 gennaio 2019).
Nel caso in esame, la ricorrente ha contestato la legittimità dell’affidamento diretto in house del servizio di igiene urbana, da parte di alcuni Comuni, ad una Società interamente partecipata da Amministrazioni comunali.
Tale Società è caratterizzata dalla compresenza di “soci pubblici affidanti”, che esercitano il controllo analogo ed affidano in house il servizio alla partecipata; e “soci pubblici non affidanti” che non esercitano il controllo analogo e, quindi, detengono la partecipazione nella prospettiva di affidare il servizio solo in futuro.
Con la prima questione, il Consiglio di Stato ha chiesto al Giudice euro-unitario se una norma interna, quale l’art. 192 del Codice dei contratti pubblici (che subordina l’affidamento in house alla presenza di condizioni stringenti), sia compatibile con il diritto euro-unitario.
Il Giudice nazionale ha infatti sottolineato che l’art. 192 del Codice assegnerebbe all’affidamento in house natura “derogatoria” rispetto al ricorso al mercato; ammettendone l’esperibilità solo: i) in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante; ii) a fronte di un onere motivazionale rafforzato.
Il che si porrebbe in contrasto con i principi euro-unitari di libertà delle scelte organizzative delle Pubbliche Amministrazioni (cfr. considerando § 5 Direttiva 2014/13 UE e 2014/14 UE) e con l’art. 12, par. 3, della Direttiva 2014/24 UE; la quale -escludendo dal suo ambito di applicazione gli appalti aggiudicati secondo il modello in house– porrebbe tali affidamenti su un piano paritetico rispetto al ricorso al mercato.
Con la seconda questione, il Consiglio di Stato ha sollevato dubbi sulla compatibilità dell’art. 4 co. 1 del Testo Unico delle società partecipate (D.lgs. 175/2016) con l’art. 12 par. 3 della Direttiva 2014/24 UE.
Secondo il Consiglio di Stato, la norma interna consente ad una P.A. di detenere partecipazioni in Società in house solo se la P.A. eserciti il controllo analogo su tale Società e le affidi, contestualmente, il servizio.
Muovendo da tale interpretazione, il Giudice nazionale ha ritenuto dubbia la compatibilità del riferito meccanismo con i principi euro-unitari; soprattutto perché il controllo analogo e l’affidamento diretto ben potrebbero seguire l’acquisto della partecipazione societaria.
In tal quadro, la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla prima questione sancendo che –in virtù del principio euro-unitario di autodeterminazione degli Stati membri sulle proprie scelte gestionali derivante dal considerando § 5 della Direttiva 2014/14 UE è indifferente per l’ordinamento euro-unitario che uno Stato membro introduca delle condizioni stringenti tese alla verifica dell’economicità e dell’efficienza del modello dell’autoproduzione rispetto al ricorso mercato.
Con il corollario che l’art. 192 del Codice dei Contratti, laddove sottopone a stringenti vincoli la scelta di ricorrere agli affidamenti in house, non presterebbe il fianco a dubbi di compatibilità con l’ordinamento sovranazionale.
Anche con riguardo alla seconda questione, la Corte di Giustizia ha sostanzialmente ritenuto che il profilo individuato dal Consiglio di Stato esuli dagli aspetti disciplinati dalla Direttiva 2014/24 UE.
Infatti, la Corte di Giustizia si è limitata ad osservare che l’art. 12 par. 3 della Direttiva 2014/24 UE, nel disciplinare le condizioni in presenza delle quali un’Amministrazione può ricorrere all’affidamento in house a favore di un organismo pluripartecipato da Amministrazioni pubbliche, richiede l’esercizio del controllo analogo congiunto, senza alcuna indicazione sulle modalità di acquisizione delle partecipazioni.
Sicché la scelta operata con il Testo Unico partecipate come interpretato dal Giudice remittente, tesa a subordinare la partecipazione societaria alla contestuale sussistenza del controllo analogo e dell’affidamento in house del servizio alla partecipata, appare indifferente per l’ordinamento euro-unitario.
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In definitiva, l’ordinanza in rassegna costituisce un ulteriore passo nell’ambito del vivace dibattito sulla natura del modello in house rispetto al ricorso al mercato (di recente, sulla natura ordinaria del ricorso all’in house, T.A.R. Emilia – Romagna, Bologna, sez. II, 21 maggio 2019, n.461); nonché sulle concrete modalità con cui un Ente pubblico può programmare l’acquisto di partecipazioni in Società pubbliche.
Quanto al primo aspetto, la Corte di Giustizia ha offerto lo spunto per inquadrare la questione da una prospettiva più ampia: quel che rileva pare essere la scelta compiuta a monte dallo Stato membro; il quale, nell’esercizio della capacità di autodeterminarsi, può sottoporre a condizioni specifiche il ricorso all’in house, anziché al mercato.
Il secondo aspetto desta qualche perplessità ove si ritenga che una P.A. debba contestualmente deliberare l’acquisizione della partecipazione e l’affidamento del servizio; dato che questi adempimenti spesso vengono posti in essere, per ragioni logiche e pratiche, in una prospettiva non sincronizzata.
Non resta dunque che valutare le ricadute che tale pronuncia avrà, nei prossimi mesi, nella prassi operativa e gestionale delle Amministrazioni Pubbliche.
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Avv. Lara Bonoldi