L’esclusione automatica delle offerte anomale, dopo il decreto correttivo al codice dei contratti pubblici
La “sorte” e la mediocrità elette quali criteri di affidamento degli appalti pubblici di lavori
1. Gli appalti in Italia? Da aggiudicare al più…mediocre
Il motto latino “in medio stat virtus” ha certamente significati profondi ed accettabili.
Tuttavia, non sembra conciliabile con qualsiasi idea di competizione, in nessun ambito. Una qualsiasi disciplina in cui per vincere non si deve arrivare primi, bensì esattamente a metà di coloro che tagliano il traguardo, produrrebbe effetti esilaranti nella condotta dei partecipanti, ma apparirebbe propria più di “giochi senza frontiere” che di una gara.
Sennonché è questo il sistema prescelto dagli estensori del Correttivo, per il 90% degli appalti di lavori pubblici. Nel contempo, mantenendo modalità di calcolo del tutto casuali, che in ogni caso non consentono al concorrente di provare a prevedere quale sarà l’offerta suscettibile di vincere l’appalto.
In sostanza, gli appalti di lavori, in Italia, non sono aggiudicati all’offerta più conveniente per la PA, al “prezzo più basso”, o comunque sulla base di un qualsiasi criterio di merito.
No.
In Italia, gli appalti di lavori sono aggiudicati all’impresa che ha la fortuna sia di “indovinare” un valore che risulti intorno alla metà delle offerte presentate; sia di veder estratto un metodo di conteggio della soglia di aggiudicazione, che determini un risultato prossimo alla propria offerta, e non ad una offerta -comunque intorno alla metà- immediatamente superiore o inferiore.
Rispetto al testo originario del Codice, che consentiva l’aggiudicazione di molti appalti “a sorte”, il Correttivo ha fatto due passi ulteriori: i molti appalti sono diventati “quasi tutti gli appalti di lavori”; e la sorte non è quella di risultare migliore, dopo alcune offerte eccessive, ma “più mediocre degli altri”.
Non un gran modello di competizione, a livello di sistema-paese.
Per quanto riguarda le formule, e la “propensione alla mediocrità”, si rinvia all’altro commento su questo stesso sito. Qui si approfondirà invece l’ampliamento dell’ambito di operatività dell’esclusione automatica negli appalti di lavori.
In sintesi, rispetto al Codice del 2006, che contemplava un metodo di esclusione (e quindi di aggiudicazione degli appalti alla prima non esclusa) assolutamente casuale, il nuovo Codice aveva solamente aggiunto ulteriori elementi di casualità: per un verso, introducendo altre formule che, in quanto dipendenti dalle medie delle offerte pervenute (mediate con i più disparati correttivi), risultavano altrettanto casuali; per altro verso, sommando sorte alla sorte, attraverso il sorteggio tra tutti i vari metodi così indicati, dopo la presentazione delle offerte.
La critica non era certo isolata; tra le molte voci di perplessità, la più colorita (e suggestiva) ipotizzava che «una scimmia ammaestrata (ma non troppo) si sia introdotta nottetempo in un ufficio del Palazzo mettendosi a battere a caso sulla tastiera di un computer. Si trattava dell’ufficio dove era conservata l’ultima versione del nuovo Codice dei contratti. Così è nato l’articolo 97, comma 2; qualunque altra spiegazione appare meno plausibile»
Le critiche “piovute” sulla disposizione hanno apparentemente sortito qualche effetto, considerato che il decreto Correttivo al Codice[1] è intervenuto con articolate modifiche al comma 2, nonché su alcune disposizioni collegate.
Solo apparentemente, però. Per quanto possa sembrare impossibile, vista la originaria formulazione (e la verosimile teoria della scimmia), il nuovo testo risulta ancora peggiore e più aleatorio del precedente.
Anzitutto perché il Correttivo amplia considerevolmente l’ambito di operatività dell’esclusione automatica, che ora diviene sostanzialmente obbligatoria nella larghissima parte degli appalti di lavori.
Inoltre perché sono state modificate le formule per il calcolo della soglia di anomalia, ora indirizzate verso la media dei valori delle offerte presentate: sicché non solo regna la casualità, com’è proprio di un metodo che ha eletto il “sorteggio” a criterio di aggiudicazione, ma anche la mediocrità quale risultato da perseguire.
Quel che parrebbe a prima vista incredibile, in questa ultima modifica, è che la richiesta di ampliamento ed obbligatorietà dell’esclusione automatica è pervenuta dalle associazioni di categoria delle imprese di costruzione; sul che, pare opportuna qualche riflessione, dopo aver approfondito le novità del Correttivo sui due versanti appena individuati.
3. I limiti del meccanismo di esclusione automatica nella versione originaria del Codice
Nella formulazione del 2016 del Codice, l’esclusione automatica aveva un doppio limite.
Da un lato, era riservata agli appalti di lavori fino ad un milione di euro, ed agli appalti di servizi e forniture fino alla soglia comunitaria; in entrambi i casi, purché si procedesse ad affidamento al prezzo più basso. Condizione, quest’ultima, assai frequente negli appalti di lavori fino ad un milione, per i quali l’articolo 95 consentiva (e consente tuttora) l’affidamento al prezzo più basso, in deroga al principio generale della valutazione qualità/prezzo; mentre per gli appalti di servizi e forniture l’affidamento al prezzo più basso era riservato dallo stesso art. 95 agli appalti “standardizzati” ed a quelli ripetitivi.
Dall’altro lato, l’esclusione automatica non era mai prevista come obbligatoria: in tutti i casi che precedono, era consentito alla stazione appaltante di escludere automaticamente le offerte automatiche, ovvero di procedere a valutazione delle offerte che superassero la soglia risultante dal calcolo.
Vero è che, quanto al primo profilo, gli appalti di lavori di importo inferiore al milione di euro rappresentano oltre l’80% del numero degli appalti di lavoro indetti in Italia (nel 2014 furono l’84%[2], ed il numero risulta sostanzialmente invariato negli anni successivi).
Così com’è vero che, quanto al secondo profilo, in concreto le amministrazioni hanno preferito ricorrere al meccanismo di esclusione automatica, anziché lasciarsi margini di valutazione.
Tuttavia, almeno teoricamente, si trattava comunque di una limitazione, quantitativa e qualitativa, all’esclusione automatica.
V’era poi una limitazione pratica, poco approfondita nella teoria. A mente dell’art. 36 del Codice, negli appalti di lavori fino ad un milione di euro si poteva procedere mediante procedura negoziata, con invito di almeno 10 imprese; e secondo l’art. 97 comma 8, l’esclusione automatica opera solamente in presenza di 10 offerte valide. Con la conseguenza che in tutti i casi (numerosi) in cui l’amministrazione si fosse limitata ad invitare esattamente 10 imprese e non di più, risultava sufficiente che una sola delle invitate non presentasse offerta o la presentasse in modo non ammissibile per determinare l’inapplicabilità della esclusione automatica.
4. L’estensione operata dal D.Lgs. 56/2017
Il Correttivo è intervenuto su tutti questi limiti, nel senso di ampliare sia teoricamente che in concreto l’operatività dell’esclusione automatica per gli appalti di lavori (per gli appalti di servizi e forniture il metodo del prezzo più basso e dunque dell’esclusione automatica è riservato agli appalti sotto soglia caratterizzati da “elevata ripetitività”, e risulta dunque estremamente marginale).
In primo luogo, ha reso obbligatoria, e non più facoltativa, l’esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti di lavori fino ad un milione di euro, aggiudicati al prezzo più basso (con l’unica eccezione degli appalti di interesse transfrontaliero)[3]; conseguentemente, la prima attenuazione del metodo, ovvero il suo carattere meramente facoltativo, risulta oggi totalmente abbandonata.
In secondo luogo, ha introdotto la possibilità di utilizzare il criterio del prezzo più basso per i lavori fino a due milioni di euro, a condizione che anche per questi si proceda all’esclusione automatica delle offerte anomale[4]. Considerato che già la soglia di un milione di euro comprendeva la gran parte degli appalti di lavori sul territorio nazionale, l’aumento a due milioni estende l’applicabilità del criterio del prezzo più basso con esclusione automatica alla quasi totalità (per numero, non per valore) degli appalti di lavori.
In terzo luogo, per gli appalti di lavori di importo inferiore al milione, ha aumentato da 10 a 15 il numero minimo di imprese da invitare alla procedura negoziata. Da questa modifica discende il superamento anche dell’ultimo “ostacolo” pratico all’attuazione del metodo dell’esclusione automatica, sopra evidenziato: in presenza di 15 inviti, occorre che almeno 6 tra le imprese invitate non presentino offerta valida, per evitare l’operatività dell’esclusione automatica (che “scatta” da 10 offerte in poi).
Merita di essere notato che viceversa per gli appalti di servizi e forniture sotto i 40.000,00 € non è previsto un numero minimo di inviti, essendo anzi consentito l’affidamento diretto; e comunque, anche sopra tale soglia, la procedura negoziata è possibile attraverso la mera consultazione di soli 10 operatori: conseguentemente, in concreto, per queste tipologie di appalto, l’esclusione automatica pare destinata a restare affatto marginale, anche a prescindere dalla già evidenziata limitazione ai soli appalti ad “elevata ripetitività”.
Anzitutto, scoraggia le offerte convenienti per l’amministrazione. Qual è l’interesse ad offrire il miglior sconto possibile, se viene premiato il mediocre? Al contrario, si cercherà di presentare sconti “nella media”, con applicazioni degne delle migliori teorie dei giochi: bisogna infatti prevedere cosa faranno gli altri concorrenti nell’appalto.
In ogni caso, l’effetto sarà quello di “abbassare ulteriormente la media” e rendere l’offerta aggiudicataria ancor meno conveniente.
Inoltre, incentiva gli accordi tra imprese. Appare invero singolare (o meglio: frutto di un ottimo lavoro di manipolazione comunicativa) che imprese ed organi di stampa abbiano definito l’articolo 97 come “metodo antiturbativa”, nell’assunto che il sorteggio tra le varie formule non consenta accordi a priori.
L’assunto appare radicalmente smentito dal rilievo che il Correttivo ha notevolmente avvicinato i risultati tra i vari metodi: sicché le imprese, accordandosi, possono presentare offerte che influiscano su tutti i metodi, indipendentemente da quello che sarà sorteggiato.
Soprattutto, proporre l’aggiudicazione al “medio classificato” induce le imprese a stringere quanti più accordi possibili, per far convergere le offerte “alleate” verso un valore medio che così ottiene maggiori risultati di aggiudicazione.
Del resto, nessuna persona sensata accetterebbe di poter lavorare, e quindi guadagnare per sostentarsi, solo a condizione di pescare un biglietto vincente in una estrazione. Se non lo accetta nessuna persona sensata, non dovrebbe accettarlo neppure nessuna impresa: neanche le imprese potrebbero infatti affidare l’acquisizione di contratti e quindi la possibilità di svolgere attività aziendale alla sola circostanza di “pescare” il numero giusto in una estrazione casuale.
Sennonché, come detto, sono state proprio le imprese a chiedere che l’esclusione automatica e questi metodi di calcolo divenissero obbligatori e fossero estesi fino agli appalti di due milioni.
Allora, delle due l’una: o le imprese italiane di costruzione sono composte tutte da persone prive di senno, che preferiscono affidare alla sorte anziché alla competizione la propria sopravvivenza; oppure le imprese di costruzione, tali da rappresentare la maggioranza nelle associazioni di categoria, sono in grado di organizzare cartelli ed accordi illeciti, che consentano di vincere comunque gli appalti, a condizioni a quel punto molto più vantaggiose per loro e più onerose per la PA.
A dispetto del “metodo antiturbativa”, e per lo sconforto di qualsiasi impresa che voglia puntare sulla capacità di concorrenza, invece che sugli accordi illeciti o comunque (a voler proprio pensar bene) sulla fortuna.
Infine, ci sono i risvolti per la PA.
Che questo metodo di aggiudicazione degli appalti non rispetti i principi di efficienza, economicità, trasparenza, imparzialità, pare certo e non contestabile (sul che ci si limita a rinviare alle conclusioni del precedente commento[5]); anche se nessuno, tra giudici amministrativi e costituzionali, sembra accorgersene.
A questo punto, però, siamo ben oltre qualsiasi pur pallida logica.
Chi mai, per eseguire dei lavori a proprie spese, acquisirebbe un certo numero di preventivi, per scegliere poi, attraverso complicati metodi di calcolo e ripetuti sorteggi, l’offerta che si colloca a metà tra quelle pervenute? Nessuna persona sensata, verrebbe da dire.
Purtroppo, la PA sceglie così, a nostre spese (perché di soldi pubblici si tratta), le condizioni di affidamento dell’appalto.
Forse, si tratta solo di aggiornamento in chiave “millennial” del mito dello “Stellone” italico, che tanto ha contribuito in passato ai successi nazionali. Oppure, di una rivisitazione della presunta filosofia di Napoleone: lui pare esigesse che i suoi generali fossero non solo bravi ma anche fortunati; mentre negli appalti di lavori in Italia la bravura non conta per nulla, e l’imprenditore dev’essere solo fortunato.
[1] D.Lgs. 56/2017
[2] Dato riportato nello studio dell’Università Tor Vergata “come appalta la PA”, 2015.
Il motto latino “in medio stat virtus” ha certamente significati profondi ed accettabili.
Tuttavia, non sembra conciliabile con qualsiasi idea di competizione, in nessun ambito. Una qualsiasi disciplina in cui per vincere non si deve arrivare primi, bensì esattamente a metà di coloro che tagliano il traguardo, produrrebbe effetti esilaranti nella condotta dei partecipanti, ma apparirebbe propria più di “giochi senza frontiere” che di una gara.
Sennonché è questo il sistema prescelto dagli estensori del Correttivo, per il 90% degli appalti di lavori pubblici. Nel contempo, mantenendo modalità di calcolo del tutto casuali, che in ogni caso non consentono al concorrente di provare a prevedere quale sarà l’offerta suscettibile di vincere l’appalto.
In sostanza, gli appalti di lavori, in Italia, non sono aggiudicati all’offerta più conveniente per la PA, al “prezzo più basso”, o comunque sulla base di un qualsiasi criterio di merito.
No.
In Italia, gli appalti di lavori sono aggiudicati all’impresa che ha la fortuna sia di “indovinare” un valore che risulti intorno alla metà delle offerte presentate; sia di veder estratto un metodo di conteggio della soglia di aggiudicazione, che determini un risultato prossimo alla propria offerta, e non ad una offerta -comunque intorno alla metà- immediatamente superiore o inferiore.
Rispetto al testo originario del Codice, che consentiva l’aggiudicazione di molti appalti “a sorte”, il Correttivo ha fatto due passi ulteriori: i molti appalti sono diventati “quasi tutti gli appalti di lavori”; e la sorte non è quella di risultare migliore, dopo alcune offerte eccessive, ma “più mediocre degli altri”.
Non un gran modello di competizione, a livello di sistema-paese.
Per quanto riguarda le formule, e la “propensione alla mediocrità”, si rinvia all’altro commento su questo stesso sito. Qui si approfondirà invece l’ampliamento dell’ambito di operatività dell’esclusione automatica negli appalti di lavori.
2. il Codice ed il Correttivo
Il primo commento alla formulazione originaria dell’articolo 97 comma del Codice dei Contratti pubblici ha già evidenziato le molte perplessità su un sistema, che proponeva la sorte quale metodo di aggiudicazione per un numero estremamente significativo di appalti pubblici.
In sintesi, rispetto al Codice del 2006, che contemplava un metodo di esclusione (e quindi di aggiudicazione degli appalti alla prima non esclusa) assolutamente casuale, il nuovo Codice aveva solamente aggiunto ulteriori elementi di casualità: per un verso, introducendo altre formule che, in quanto dipendenti dalle medie delle offerte pervenute (mediate con i più disparati correttivi), risultavano altrettanto casuali; per altro verso, sommando sorte alla sorte, attraverso il sorteggio tra tutti i vari metodi così indicati, dopo la presentazione delle offerte.
La critica non era certo isolata; tra le molte voci di perplessità, la più colorita (e suggestiva) ipotizzava che «una scimmia ammaestrata (ma non troppo) si sia introdotta nottetempo in un ufficio del Palazzo mettendosi a battere a caso sulla tastiera di un computer. Si trattava dell’ufficio dove era conservata l’ultima versione del nuovo Codice dei contratti. Così è nato l’articolo 97, comma 2; qualunque altra spiegazione appare meno plausibile»
(http://www.bosettiegatti.eu/novita/2016_anomalie_97.pdf).
Le critiche “piovute” sulla disposizione hanno apparentemente sortito qualche effetto, considerato che il decreto Correttivo al Codice[1] è intervenuto con articolate modifiche al comma 2, nonché su alcune disposizioni collegate.
Solo apparentemente, però. Per quanto possa sembrare impossibile, vista la originaria formulazione (e la verosimile teoria della scimmia), il nuovo testo risulta ancora peggiore e più aleatorio del precedente.
Anzitutto perché il Correttivo amplia considerevolmente l’ambito di operatività dell’esclusione automatica, che ora diviene sostanzialmente obbligatoria nella larghissima parte degli appalti di lavori.
Inoltre perché sono state modificate le formule per il calcolo della soglia di anomalia, ora indirizzate verso la media dei valori delle offerte presentate: sicché non solo regna la casualità, com’è proprio di un metodo che ha eletto il “sorteggio” a criterio di aggiudicazione, ma anche la mediocrità quale risultato da perseguire.
Quel che parrebbe a prima vista incredibile, in questa ultima modifica, è che la richiesta di ampliamento ed obbligatorietà dell’esclusione automatica è pervenuta dalle associazioni di categoria delle imprese di costruzione; sul che, pare opportuna qualche riflessione, dopo aver approfondito le novità del Correttivo sui due versanti appena individuati.
3. I limiti del meccanismo di esclusione automatica nella versione originaria del Codice
Nella formulazione del 2016 del Codice, l’esclusione automatica aveva un doppio limite.
Da un lato, era riservata agli appalti di lavori fino ad un milione di euro, ed agli appalti di servizi e forniture fino alla soglia comunitaria; in entrambi i casi, purché si procedesse ad affidamento al prezzo più basso. Condizione, quest’ultima, assai frequente negli appalti di lavori fino ad un milione, per i quali l’articolo 95 consentiva (e consente tuttora) l’affidamento al prezzo più basso, in deroga al principio generale della valutazione qualità/prezzo; mentre per gli appalti di servizi e forniture l’affidamento al prezzo più basso era riservato dallo stesso art. 95 agli appalti “standardizzati” ed a quelli ripetitivi.
Dall’altro lato, l’esclusione automatica non era mai prevista come obbligatoria: in tutti i casi che precedono, era consentito alla stazione appaltante di escludere automaticamente le offerte automatiche, ovvero di procedere a valutazione delle offerte che superassero la soglia risultante dal calcolo.
Vero è che, quanto al primo profilo, gli appalti di lavori di importo inferiore al milione di euro rappresentano oltre l’80% del numero degli appalti di lavoro indetti in Italia (nel 2014 furono l’84%[2], ed il numero risulta sostanzialmente invariato negli anni successivi).
Così com’è vero che, quanto al secondo profilo, in concreto le amministrazioni hanno preferito ricorrere al meccanismo di esclusione automatica, anziché lasciarsi margini di valutazione.
Tuttavia, almeno teoricamente, si trattava comunque di una limitazione, quantitativa e qualitativa, all’esclusione automatica.
V’era poi una limitazione pratica, poco approfondita nella teoria. A mente dell’art. 36 del Codice, negli appalti di lavori fino ad un milione di euro si poteva procedere mediante procedura negoziata, con invito di almeno 10 imprese; e secondo l’art. 97 comma 8, l’esclusione automatica opera solamente in presenza di 10 offerte valide. Con la conseguenza che in tutti i casi (numerosi) in cui l’amministrazione si fosse limitata ad invitare esattamente 10 imprese e non di più, risultava sufficiente che una sola delle invitate non presentasse offerta o la presentasse in modo non ammissibile per determinare l’inapplicabilità della esclusione automatica.
4. L’estensione operata dal D.Lgs. 56/2017
Il Correttivo è intervenuto su tutti questi limiti, nel senso di ampliare sia teoricamente che in concreto l’operatività dell’esclusione automatica per gli appalti di lavori (per gli appalti di servizi e forniture il metodo del prezzo più basso e dunque dell’esclusione automatica è riservato agli appalti sotto soglia caratterizzati da “elevata ripetitività”, e risulta dunque estremamente marginale).
In primo luogo, ha reso obbligatoria, e non più facoltativa, l’esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti di lavori fino ad un milione di euro, aggiudicati al prezzo più basso (con l’unica eccezione degli appalti di interesse transfrontaliero)[3]; conseguentemente, la prima attenuazione del metodo, ovvero il suo carattere meramente facoltativo, risulta oggi totalmente abbandonata.
In secondo luogo, ha introdotto la possibilità di utilizzare il criterio del prezzo più basso per i lavori fino a due milioni di euro, a condizione che anche per questi si proceda all’esclusione automatica delle offerte anomale[4]. Considerato che già la soglia di un milione di euro comprendeva la gran parte degli appalti di lavori sul territorio nazionale, l’aumento a due milioni estende l’applicabilità del criterio del prezzo più basso con esclusione automatica alla quasi totalità (per numero, non per valore) degli appalti di lavori.
In terzo luogo, per gli appalti di lavori di importo inferiore al milione, ha aumentato da 10 a 15 il numero minimo di imprese da invitare alla procedura negoziata. Da questa modifica discende il superamento anche dell’ultimo “ostacolo” pratico all’attuazione del metodo dell’esclusione automatica, sopra evidenziato: in presenza di 15 inviti, occorre che almeno 6 tra le imprese invitate non presentino offerta valida, per evitare l’operatività dell’esclusione automatica (che “scatta” da 10 offerte in poi).
Merita di essere notato che viceversa per gli appalti di servizi e forniture sotto i 40.000,00 € non è previsto un numero minimo di inviti, essendo anzi consentito l’affidamento diretto; e comunque, anche sopra tale soglia, la procedura negoziata è possibile attraverso la mera consultazione di soli 10 operatori: conseguentemente, in concreto, per queste tipologie di appalto, l’esclusione automatica pare destinata a restare affatto marginale, anche a prescindere dalla già evidenziata limitazione ai soli appalti ad “elevata ripetitività”.
5. I profili di incostituzionalità ed incongruità
L’ampliamento dell’esclusione automatica negli appalti di lavori e la modifica delle formule con una costante propensione verso la media delle offerte pervenute produce una serie di conseguenze, tutte apparentemente nefaste.
Anzitutto, scoraggia le offerte convenienti per l’amministrazione. Qual è l’interesse ad offrire il miglior sconto possibile, se viene premiato il mediocre? Al contrario, si cercherà di presentare sconti “nella media”, con applicazioni degne delle migliori teorie dei giochi: bisogna infatti prevedere cosa faranno gli altri concorrenti nell’appalto.
In ogni caso, l’effetto sarà quello di “abbassare ulteriormente la media” e rendere l’offerta aggiudicataria ancor meno conveniente.
Inoltre, incentiva gli accordi tra imprese. Appare invero singolare (o meglio: frutto di un ottimo lavoro di manipolazione comunicativa) che imprese ed organi di stampa abbiano definito l’articolo 97 come “metodo antiturbativa”, nell’assunto che il sorteggio tra le varie formule non consenta accordi a priori.
L’assunto appare radicalmente smentito dal rilievo che il Correttivo ha notevolmente avvicinato i risultati tra i vari metodi: sicché le imprese, accordandosi, possono presentare offerte che influiscano su tutti i metodi, indipendentemente da quello che sarà sorteggiato.
Soprattutto, proporre l’aggiudicazione al “medio classificato” induce le imprese a stringere quanti più accordi possibili, per far convergere le offerte “alleate” verso un valore medio che così ottiene maggiori risultati di aggiudicazione.
Del resto, nessuna persona sensata accetterebbe di poter lavorare, e quindi guadagnare per sostentarsi, solo a condizione di pescare un biglietto vincente in una estrazione. Se non lo accetta nessuna persona sensata, non dovrebbe accettarlo neppure nessuna impresa: neanche le imprese potrebbero infatti affidare l’acquisizione di contratti e quindi la possibilità di svolgere attività aziendale alla sola circostanza di “pescare” il numero giusto in una estrazione casuale.
Sennonché, come detto, sono state proprio le imprese a chiedere che l’esclusione automatica e questi metodi di calcolo divenissero obbligatori e fossero estesi fino agli appalti di due milioni.
Allora, delle due l’una: o le imprese italiane di costruzione sono composte tutte da persone prive di senno, che preferiscono affidare alla sorte anziché alla competizione la propria sopravvivenza; oppure le imprese di costruzione, tali da rappresentare la maggioranza nelle associazioni di categoria, sono in grado di organizzare cartelli ed accordi illeciti, che consentano di vincere comunque gli appalti, a condizioni a quel punto molto più vantaggiose per loro e più onerose per la PA.
A dispetto del “metodo antiturbativa”, e per lo sconforto di qualsiasi impresa che voglia puntare sulla capacità di concorrenza, invece che sugli accordi illeciti o comunque (a voler proprio pensar bene) sulla fortuna.
Infine, ci sono i risvolti per la PA.
Che questo metodo di aggiudicazione degli appalti non rispetti i principi di efficienza, economicità, trasparenza, imparzialità, pare certo e non contestabile (sul che ci si limita a rinviare alle conclusioni del precedente commento[5]); anche se nessuno, tra giudici amministrativi e costituzionali, sembra accorgersene.
A questo punto, però, siamo ben oltre qualsiasi pur pallida logica.
Chi mai, per eseguire dei lavori a proprie spese, acquisirebbe un certo numero di preventivi, per scegliere poi, attraverso complicati metodi di calcolo e ripetuti sorteggi, l’offerta che si colloca a metà tra quelle pervenute? Nessuna persona sensata, verrebbe da dire.
Purtroppo, la PA sceglie così, a nostre spese (perché di soldi pubblici si tratta), le condizioni di affidamento dell’appalto.
Forse, si tratta solo di aggiornamento in chiave “millennial” del mito dello “Stellone” italico, che tanto ha contribuito in passato ai successi nazionali. Oppure, di una rivisitazione della presunta filosofia di Napoleone: lui pare esigesse che i suoi generali fossero non solo bravi ma anche fortunati; mentre negli appalti di lavori in Italia la bravura non conta per nulla, e l’imprenditore dev’essere solo fortunato.
[1] D.Lgs. 56/2017
[2] Dato riportato nello studio dell’Università Tor Vergata “come appalta la PA”, 2015.
[3] Nuovo comma 8 dell’articolo 97.
[4]Nuovo comma 4, lettera a), dell’articolo 95.
[5]Pubblicazione: L’esclusione automaticedelle offerte anomale dagli appalti nel nuovo codice dei contratti pubblic dl 50-201