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La revisione del canone di concessione del servizio di distribuzione del gas nel caso di contratti scaduti e in regime di proroga ex lege

Com’è noto, le concessioni per la distribuzione del gas naturale risentono dell’omessa attuazione della riforma volta a riaffidare il servizio mediante gare d’ambito.

Senza diffondersi sulle ragioni, il dato di fatto è che le gare d’ambito hanno tardato (e verosimilmente tarderanno ancora) a partire.

Nelle more, l’art. 14 comma 7 D.Lgs. 164/2000 prevede che, scaduto il contratto di concessione, il gestore uscente è comunque «obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all’ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento».

L’obbligo di proseguire nella gestione implica anche l’obbligo di pagamento al Comune del canone di concessione previsto nel contratto scaduto, giacché l’art. 1, comma 453 della legge 11 dicembre 2016 n. 232 (peraltro in linea con i chiarimenti già resi sul punto da ARERA in data 19 maggio 2016 e 4 agosto 2016) precisa che “l’articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto”.

Per effetto dell’omessa attuazione del processo di riforma e della connessa proroga ex lege delle concessioni, l’operatore resta dunque obbligato sine die a proseguire nel servizio a condizioni che, stante il lasso di tempo trascorso e considerata anche l’evoluzione tariffaria, possono risultare antieconomiche o portare addirittura la gestione in perdita.

Se, per ovviare a tale situazione, è escluso il rimedio dello scioglimento del contratto (giacché sul piano legislativo ne è stata imposta, appunto, la prosecuzione sino al nuovo affidamento), un sistema di garanzie comunque vi dev’essere; pena, altrimenti, l’incostituzionalità delle norme citate, laddove sanciscono la proroga ex lege della gestione (e, con essa, del pagamento del canone), senza al contempo salvaguardare la prosecuzione del rapporto in condizioni di equilibrio.

Sul punto un’indicazione è stata resa dalla Corte Costituzionale con sentenza del 9 novembre 2021 n. 239, la quale ha chiarito che l’art. 14 comma 7 D.Lgs. 164/2000, nell’imporre la prosecuzione ex lege del servizio, non esclude la possibilità che, in concreto e laddove ne ricorrano i presupposti, il canone contrattuale possa essere rivisto dalle parti.

Con la citata sentenza, la Corte costituzionale ha in particolare evidenziato come, a fronte della proroga prevista dall’art. 14 co. 7 D.Lgs. 164/2000, sia emersa «senz’altro un’anomalia nell’effettuazione delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, con un percorso di riforma ancor non attuato a più di quindici anni dalla sua entrata in vigore»; con il corollario che «la proroga ex lege, ricorrendo determinate circostanze, potrebbe effettivamente determinare un irragionevole squilibrio delle prestazioni contrattuali» (C. Cost., 9 novembre 2021, n. 239).

Ne consegue che «la proroga del rapporto limitatamente all’ordinaria amministrazione, ivi compresa l’obbligazione del canone concessorio …, non escluderebbe la possibilità per le parti di ottenere una revisione degli obblighi contrattuali, compatibilmente con il vincolo per le stesse parti di non poter recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento» (sent. cit.).

Secondo la Corte costituzionale:

– tra i rimedi previsti dall’ordinamento, v’è la possibilità del gestore di chiedere ex art. 165 del Codice dei Contratti Pubblici la revisione degli obblighi contrattuali “mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio”, ricorrendone i presupposti (individuati dalla norma nel “verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario”);

– laddove non si raggiungesse tra le parti l’accordo per il riequilibrio del contratto, non opererebbe però il rimedio generale dell’art. 165 del recesso dal contratto, dato che la disciplina speciale dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. 164/2000 impone di proseguire nel rapporto sino al nuovo affidamento;

– ciò non di meno, il gestore potrebbe comunque agire per conseguire il riequilibrio in sede giudiziale e il rapporto proseguirà alle condizioni stabilite dall’autorità giurisdizionale.

Nel medesimo senso era peraltro già intervenuta in precedenza ARERA che, a fronte dell’obbligo di prosecuzione in proroga del contratto, aveva sottolineato come resti «nella disponibilità delle parti la pattuizione di una misura diversa del canone, in luogo di quella che altrimenti sarebbe dovuta dal distributore», ripristinando l’equilibrio del rapporto (chiarimento del 4 agosto 2016).

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Dunque, laddove il gestore uscente si trovi gravato dall’obbligo di pagamento di canoni eccessivamente gravosi e tali da provocare una situazione di squilibrio nel rapporto:

  • il concessionario vanta una posizione qualificata e meritevole di tutela, che legittima una richiesta di revisione delle condizioni di affidamento;
  • il concedente è tenuto a vagliare la richiesta, avviando l’apposito procedimento e compiendo gli opportuni approfondimenti in contraddittorio con l’operatore, per poi adottare le misure necessarie a ripristinare le condizioni di equilibrio venute meno;
  • se poi la richiesta non venisse riscontrata o non venisse riscontrata positivamente dall’Amministrazione, tale «richiesta …potrebbe anche essere fatta valere nelle competenti sedi giurisdizionali» (C. Cost., 9 novembre 2021, n. 239).

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Sul piano operativo, v’è da valutare quando il canone può in effetti risultare eccessivamente gravoso e legittimare quindi l’istanza di revisione.

Fermo ovviamente che le valutazioni vanno fatte caso per caso, appare certamente ragionevole ipotizzare la doverosità della revisione allorquando la misura del canone dovuto al Comune sia tale da condurre la gestione in perdita.

Pare inoltre ragionevole che la revisione abbia luogo anche allorquando la misura del canone rispetto ai ricavi ritraibili dal servizio possa generare situazioni di squilibrio che rischierebbero di compromettere la corretta e sicura gestione del servizio. E’ il caso, ad esempio, del canone che eroda (in tutto o in parte) il valore dei costi operativi riconosciuti al gestore nell’ambito dei ricavi del servizio.

In proposito, sin dall’introduzione del D.Lgs. 164/2000 è stato giudicato che «il Comune, pur essendo titolare del servizio di distribuzione del gas, non può riservarsi arbitrariamente una quota della tariffa senza considerare gli effetti di tale prelievo sulla sostenibilità economica dell’attività del gestore. In via generale il Comune ponendo una soglia minima al canone annuo deve rimanere aderente ai parametri tariffari individuati dall’Autorità attribuendo a sé stesso i soli ricavi connessi con le attività e gli investimenti di propria pertinenza» (TAR Lombardia, Brescia, 2 marzo 2004, n. 165).

Un diverso scenario, che implicasse l’erosione da parte del Comune della componente tariffaria volta a coprire i costi operativi di gestione non risulta coerente con i principi cardine del sistema, in quanto tale erosione «finirebbe per sottrarre al gestore le risorse necessarie per garantire l’efficienza e la sicurezza del servizio»; con la conseguenza che la componente a copertura dei costi operativi «è per destinazione “naturale” riservata al gestore e salvo situazioni particolari (da motivare caso per caso) non vi sono ragioni che consentano al Comune di appropriarsene unilateralmente» (TAR Lombardia, Brescia, 2 marzo 2004, n. 165).

Nello stesso senso, ARERA ha precisato che «la disciplina di determinazione delle tariffe di distribuzione del gas è stata definita … in modo tale da garantire adeguate condizioni di economicità e redditività degli esercenti, tenuto conto dei livelli di qualità e sicurezza del servizio di distribuzione che gli stessi devono assicurare», con l’ulteriore precisazione per cui «l’erosione» del ricavo massimo consentito provata dal corrispettivo riconosciuto dall’impresa all’Ente locale «deve essere contenuta» (cfr. segnalazione ARERA del 18 ottobre 2005).

In ragione di quanto sopra esposto, i costi operativi coperti in tariffa dovrebbero essere a totale appannaggio del gestore, in quanto responsabile di tutte le attività concernenti l’esercizio degli impianti (compresa la continuità, la sicurezza, il pronto intervento, e così via); pertanto, laddove, a causa del decorso del tempo e dell’evoluzione tariffaria della gestione, risultasse che tale quota tariffaria viene erosa dal canone dovuto al Comune, sarebbe ragionevole concludere per la doverosa revisione del canone dovuto al Comune.

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In conclusione, il gestore uscente che si trova gravato di un canone concessorio al Comune eccessivamente gravoso potrà avanzare istanza di revisione ex art. 165 d.lgs. 50/2016, sulla quale il Comune dovrà pronunciarsi.

In caso di mancato riscontro ovvero diniego da parte del Comune, il gestore potrà adire il giudice competente per conseguire il riequilibrio in sede giudiziale e il rapporto proseguirà alle condizioni stabilite dall’autorità giurisdizionale.

Avv. Laura Pelizzo