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Impianti FER e aree idonee: il necessario bilanciamento degli interessi coinvolti alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale

Per costante orientamento, la materia dei regimi abilitativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili è ricondotta alla «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117 co. 3 Cost.. Si tratta, dunque, di una materia di legislazione concorrente, per la quale «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato», cui le disposizioni regionali sono necessariamente tenute a conformarsi.

Da tempo è infatti affermato che «il legislatore statale (…) attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che (…) non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione» (Corte. Cost., 16 aprile 2012, n. 99).

Nello specifico, le disposizioni “di principio” della materia sono contenute nel D.Lgs. n. 387/2003 e nelle Linee Guida attuative di cui al Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 settembre 2010, relative al procedimento per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti fotovoltaici. Le Linee Guida stabiliscono che le Regioni possono, nel rispetto delle regole statali, «porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per l’installazione di specifiche tipologie di impianti (…) esclusivamente nell’ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17» (par. 1.2.); laddove il par. 17 e il relativo Allegato 3 del D.M. individuano un procedimento teso a valorizzare un’analisi concreta delle caratteristiche di ciascun sito, evitando l’introduzione di vincoli “astratti” che possano compromettere ingiustificatamente la realizzazione degli impianti.

Si tratta di norme che la Corte Costituzionale ha reputato «volte a bilanciare interessi di fondamentale rilevanza assiologica»; poiché: «per un verso, esse si rendono interpreti dell’esigenza di potenziare le fonti rinnovabili, che, in virtù della loro naturale vocazione a preservare l’interesse ambientale, costituiscono un punto di intersezione tra l’obiettivo di difendere il citato interesse e l’istanza di garantire la produzione di energia (…). Per un altro verso, cercano di contemperare il massimo sviluppo delle fonti rinnovabili con l’istanza, potenzialmente confliggente, della tutela del territorio, nella dimensione paesaggistica, storico-culturale e della biodiversità» (Corte Cost., 13 maggio 2022, n. 121).

Per tale ragione, secondo le più recenti pronunce della Corte, «le citate linee guida (…) sono, per giurisprudenza costante (…) vincolanti nei confronti delle regioni, in quanto poste a completamento della normativa primaria «in settori squisitamente tecnici» (…) e connotate dal carattere della inderogabilità a garanzia di una disciplina uniforme in tutto il territorio nazionale» (Corte Cost., 23 febbraio 2023, n. 27).

Pertanto, al di fuori delle ipotesi previste dal D.M., «le regioni non possono sospendere le procedure di autorizzazione, né subordinarle a vincoli o condizioni non previste dalla normativa statale» (Corte Cost., 27 ottobre 2022, n. 221); difettando il «potere delle regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa» (Corte Cost., 13 maggio 2022, n. 121).

La Corte Costituzionale ha altresì evidenziato che le regioni, oltre ad essere vincolate a una pianificazione conforme ai criteri di cui al par. 17 e all’Allegato 3 del D.M., non possono (in ogni caso) «creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa» (Corte Cost., 23 febbraio 2023, n. 27).

A livello statale, è infatti affermato il principio secondo cui «l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve (…) configurarsi come divieto preliminare»; poiché la tutela non può essere conseguita “in astratto”, bensì solo attraverso valutazioni “in concreto” «all’interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale nei casi previsti».

Coerentemente, afferma la Corte, «una normativa regionale che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011» (Corte Cost., 7 luglio 2021, n. 177).

Ciò in quanto «è soltanto nella sede del procedimento unico delineato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 (…) che «può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela» (Corte Cost., 27 ottobre 2022, n. 221).

L’atto di pianificazione regionale, in altri termini, «opera una «valutazione di “primo livello”», «con finalità acceleratorie» (sentenza n. 77 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 11 del 2022 e n. 177 del 2021)» (Corte Cost., 23 febbraio 2023, n. 27); non potendo mai inibire l’esercizio di un’attività istruttoria e valutativa, circa l’effettiva fattibilità del progetto, in sede procedimentale.

Avv. Sofia Trambusti