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Contratti continuativi di cooperazione e limiti al subappalto

Le maglie strette di un istituto inevitabilmente guardato con sospetto

Breve inquadramento dell’istituto

Nella più ampia discussione sulla compatibilità euro-unitaria del limite del 30% al subappalto imposto dalla normativa nazionale (vedi 1, 2 e 3) trova spazio anche una breve parentesi sul contratto continuativo di cooperazione, servizio e/o fornitura, istituto introdotto nel nostro ordinamento con D.Lgs. 56/2017, in occasione del primo correttivo al Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016).

A mente dell’art. 105, co. 3, lett. c-bis, del Codice, non si configurano come attività affidate in subappalto «le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto».

Conseguentemente, l’impresa che scelga di avvalersi di un altro operatore per eseguire alcune delle prestazioni dedotte in appalto, in base allo schema del contratto continuativo di cooperazione, risulta solamente tenuta a depositare il relativo contratto presso la stazione appaltante prima della stipulazione del contratto di appalto, senza sottostare (apparentemente) ad alcun limite con riguardo all’entità delle prestazioni affidate all’esterno.

Fin da subito, tale istituto ha suscitato rilevanti perplessità: sia perché, prima della sua introduzione in sede di “correttivo”, risultava totalmente inedito, quantomeno nella disciplina settoriale in materia di appalti; sia perché sembrava agevolmente prestarsi allo scopo di eludere l’applicazione del rigido limite quantitativo al subappalto.

Dal che, come ampiamente prevedibile, l’intervento del Giudice amministrativo, volto a circoscriverne la portata applicativa, operando in differenti direzioni.

I limiti individuati in sede giurisprudenziale

L’approccio marcatamente restrittivo adottato dalle pronunce che si sono fin qui occupate del tema può essere così sintetizzato:

a) sul piano dell’operatività temporale, il contratto continuativo di cooperazione può essere utilizzato solo nelle gare indette successivamente all’entrata in vigore del c.d. correttivo (cfr. T.A.R. Lombardia – Milano, sez. IV, 28 maggio 2018, n. 1366; anche se, in senso contrario, si veda T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna, sez. II, 20 giugno 2018, n. 514, secondo cui, trattandosi di istituto attinente alla fase esecutiva, rileva unicamente che il contratto sia eseguito sotto la vigenza della nuova norma);

b) le prestazioni oggetto del contratto continuativo di cooperazione devono «essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto» (T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. III, 6 dicembre 2018, n. 2583); in caso contrario, si assisterebbe ad una deviazione talmente vistosa «rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto … che non potrebbe dubitarsi seriamente della congruenza della norma con le disposizioni comunitarie e financo costituzionali incidenti sulla materia» (principio condiviso anche da TAR Lazio – Roma, sez. III, 29 gennaio 2019, n. 1135).

c) sotto ulteriore e distinto profilo, le prestazioni oggetto del contratto continuativo di cooperazione devono essere necessariamente rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto d’appalto, e non invece direttamente a favore della stazione appaltante, come avviene nel caso del subappalto (Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7256; T.A.R. Veneto, sez. I, 15 febbraio 2019, n. 198).

Ove le prestazioni rese dal partner operativo fossero rivolte direttamente in favore della stazione appaltante, eventualità altamente probabile nell’ipotesi di esecuzione di prestazioni principali, non meramente prodromiche e/o ancillari rispetto allo svolgimento del servizio, si ricadrebbe nella fattispecie del subappalto, con conseguente applicazione dei relativi adempimenti formali (ad esempio, il rilascio di apposita autorizzazione da parte della stazione appaltante) e dei relativi limiti (in particolare, il limite quantitativo del 30%, calcolato sul valore contrattuale).

In tal modo, vengono dunque ripristinati, seppur in via interpretativa e senza l’individuazione a priori di una soglia inderogabile, i limiti quantitativi propri del subappalto; limiti che un’applicazione distorta dell’istituto, in più occasioni evocata nelle pronunce citate, avrebbe consentito di eludere.

Le possibili ricadute negative in caso di improprio utilizzo del contratto continuativo di cooperazione

L’improprio utilizzo del contratto continuativo di cooperazione potrebbe esporre l’operatore economico ad una riqualificazione del rapporto entro il perimetro del subappalto, con problematiche di varia natura, a seconda della fase in cui tale criticità venga rilevata:

  1. la decadenza dalla facoltà di avvalersi delle prestazioni fornite dal partner operativo, per non aver indicato in sede di offerta le attività oggetto di subappalto, ove la contestazione sia formulata dalla stazione appaltante prima dell’avvio del servizio;
  2. la assoggettabilità a sanzioni per aver eseguito le prestazioni in assenza della prescritta autorizzazione al subappalto, con potenziali risvolti anche sul piano penale, nell’ipotesi di esecuzione già avviata;
  3. la necessità, in ogni caso, che sia rispettato il limite quantitativo del 30% riferito alle prestazioni subappaltabili.

Per tali ragioni, fermo restando l’auspicio che l’atteso intervento della Corte di giustizia UE possa condurre ad un superamento in radice dei limiti quantitativi al subappalto, appare opportuno adottare un approccio di moderata cautela nei confronti dell’istituto del contratto continuativo di cooperazione.