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Appalti pubblici, lo stato dell’arte sullo scorporo dei costi della manodopera

Articolo pubblicato su Lexitalia, n. 2/2024

1) Premessa: l’art. 41 del nuovo Codice dei contratti pubblici e la sua difficile interpretazione

L’art. 41, comma 14, del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs 31 marzo 2023 n. 36) prevede che «i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso», ma che allo stesso tempo «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale».

È immediatamente sorto un interrogativo sull’interpretazione da dare al comma 14: i costi della manodopera, nella vigenza del nuovo Codice, vanno “materialmente” scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, e non è dunque possibile proporre ribassi d’asta in relazione a tale voce? Così sembrerebbe intendere il comma 14, nella parte in cui prevede per i costi della manodopera identico trattamento da sempre riservato ai costi della sicurezza, imponendo che entrambi siano letteralmente «scorporati dall’importo assoggettato al ribasso».

Una simile conclusione, pur in linea con il dato letterale, è stata fin da subito ritenuta difficilmente conciliabile con il successivo inciso, a mente del quale «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale». Operativamente, non era chiaro (e come si vedrà non lo è tutt’ora) se i modelli di offerta economica dovessero essere predisposti con costo della manodopera “bloccato” o, viceversa, ribassabile; con obbligo, in questo secondo caso, di dimostrare che il contenimento dei costi deriva dall’efficienza aziendale, e non da un trattamento salariale inadeguato.

2) Il punto di vista di ANAC, del MIT e le prime pronunce giurisprudenziali

Occorre sinteticamente dare conto dei primi punti di vista espressi sul punto dai diversi TAR, dal Consiglio di Stato, dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT).

La relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici, che su altre previsioni parimenti contraddittorie fornisce preziosi spunti interpretativi, si limita invece a una mera parafrasi del contenuto dell’art. 41, comma 14.

Il primo contributo giurisprudenziale è stato offerto dalla quinta sezione del Consiglio di Stato, che con sentenza n. 5665 in data 9 giugno 2023, pur relativa a un appalto al quale era applicabile il previgente Codice del 2016, ha colto l’occasione per svolgere alcune osservazioni sul nuovo art. 41.

È stato osservato che un effettivo scorporo dei costi della manodopera si tradurrebbe in un «divieto indiscriminato di ribasso sulla manodopera» (par. 14.3), con molteplici effetti negativi tra cui:

– la standardizzazione dei costi verso l’alto;

– nel caso degli appalti ad alta intensità di manodopera, la limitazione del confronto competitivo al solo ribasso sui (residuali) costi diversi dalla manodopera; nel caso deciso dal Consiglio di Stato, ritenendo operativo il divieto di ribasso, si sarebbe pervenuti all’«assurdo logico» (par. 14.6) di considerare la gara indetta solo per vagliare il ribasso sulla voce “spese generali”.

Nella sostanza, pur senza esprimersi in termini netti, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha interpretato l’art. 41, comma 14, nel senso che i costi della manodopera sono ribassabili (e quindi non materialmente scorporati), ma che il ribasso dev’essere giustificato alla luce di un’efficiente organizzazione aziendale.

Procedendo in rigoroso ordine cronologico, in linea con il Consiglio di Stato si sono espressi dapprima il MIT, e poi ANAC.

Il servizio di consulenza del MIT, con parere n. 2154 in data 19 luglio 2023, ha offerto un’interpretazione basata sulle indicazioni operative contenute nel bando tipo ANAC n. 1/2023, il quale indica a) che l’importo a base di gara comprende i costi della manodopera stimati dalla stazione appaltante e b) che i costi della manodopera effettivamente stimati dal concorrente vadano indicati in offerta da quest’ultimo.

Ne consegue, a parere del MIT, che gli operatori possono ben esporre costi della manodopera inferiori a quelli stimati dalla Stazione appaltante, con la sola conseguenza che in tal caso l’offerta è sottoposta al procedimento di verifica dell’anomalia ex art. 110 del Codice; fermo ovviamente il divieto di fornire giustificazioni in relazione a trattamenti salariali inferiori ai minimi interogabili di legge.

Quanto ad ANAC, con parere di precontenzioso n. 528 in data 15 novembre 2023 l’Autorità ha concluso che nonostante la formulazione letterale della prima parte dell’art. 41, comma 14, del Codice «induca a ritenere che i costi della manodopera siano scorporati dall’importo assoggettato a ribasso, la lettura sistematica e costituzionalmente orientata delle diverse disposizioni del Codice in materia di costi della manodopera» debba portare a conclusioni opposte.

Il riferimento è anzitutto al secondo inciso contenuto nell’art. 41, comma 14, a mente del quale «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale». Tale inciso sarebbe infatti posto nel nulla se si interpretasse il precedente inciso come divieto inderogabile di ribasso dei costi della manodopera.

Il riferimento di ANAC è altresì all’art. 108, comma 9, e all’art. 110 del Codice.

Il primo impone ai concorrenti di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera.

Il secondo prescrive che le Stazioni appaltanti, nel valutare la congruità delle offerte, tengano conto anche dei costi della manodopera indicati dai concorrenti.

Tali previsioni non avrebbero avuto ragion d’essere se davvero l’art. 41, comma 14, avesse inteso vietare tout court il ribasso sui costi della manodopera.

In continuità con quanto precede si è poi espresso il TAR Sicilia (sez. III, 19 dicembre 2023 n. 3787), affermando la legittima impostazione di una procedura nell’ambito della quale i costi della manodopera erano (doverosamente) indicati in via separata, ma era prevista la possibilità di esprimere un ribasso in termini percentuali sull’importo complessivo a base d’asta, inclusi i costi della manodopera.

Il TAR interpreta l’obbligo normativo di scorporare i costi della manodopera come un mero onere di indicazione separata negli atti di gara («cosa che è stata puntualmente fatta nella formulazione dei documenti della gara per cui è controversia»), senza che ciò precluda ai concorrenti di offrire ribassi su tale significativa voce di costo.

Stessa tesi recentemente sposata dal TAR Toscana (sez. IV, 29 gennaio 2024 n. 120), il quale ha ritenuto che l’art. 41 debba essere interpretato in maniera coerente con l’art. 108, comma 9 e l’art. 110 del Codice, esattamente come argomentato da ANAC.

Il TAR conclude per l’assoggettabilità a ribasso dei costi della manodopera, osservando che «se, infatti, il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe avuto senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica, né avrebbe avuto senso includere anche i costi della manodopera tra gli elementi che possono concorrere a determinare l’anomalia dell’offerta» (par. 1.1).

Giova altresì dare conto di due pronunce in termini opposti.

Il TAR Campania, Salerno (sez. I, 11 gennaio 2024 n. 147) si è trovato a valutare la legittimità o meno di atti di gara che prevedevano un rigoroso scorporo del costo della manodopera, rispetto al quale era esclusa la possibilità di ribasso.

Il TAR non ha preso posizione sul dibattito in relazione all’art. 41, e limitando l’esame alla legittimità degli specifici atti di gara ha confermato la bontà della scelta della Stazione appaltante di precludere il ribasso sui costi della manodopera.

Più di recente, anche il TAR Calabria, Reggio Calabria (8 febbraio 2024 n. 119) ha interpretato l’art. 41, comma 14, come divieto al ribasso sui costi della manodopera.

Secondo il TAR, l’art. 41 farebbe riferimento a «due concetti distinti»:

– «“l’importo posto a base di gara”, nell’individuare il quale la stazione appaltante deve prevedere anche il cd. costo della manodopera»;

– «“l’importo assoggettato al ribasso” dal quale, invece, “i costi della manodopera”, devono essere scorporati» (par. 10).

La previsione normativa, vietando il ribasso sulla manodopera, perseguirebbe «l’evidente fine di non sottostimare le retribuzioni da erogare ai lavoratori “applicati” nell’esecuzione delle commesse pubbliche» (par. 10).

Quanto al secondo inciso contenuto nel comma 14, la pronuncia afferma che gli operatori potrebbero ben esporre una cifra a titolo di costi della manodopera inferiore a quella stimata dalla Stazione appaltante, dimostrando che il risparmio deriva da una più efficiente organizzazione aziendale. Ma senza che tale risparmio possa consentire una concorrenzialità maggiore in gara, non potendo il risparmio tradursi in un maggior ribasso sull’importo a base di gara (dal quale, come detto, il TAR ritiene che la manodopera debba essere rigidamente esclusa).

3) La storia si ripete: l’analogo contrasto sorto nella vigenza del Codice del 2006

Che un corpo normativo complesso e articolato come il Codice degli appalti possa necessitare di un “periodo di assestamento” iniziale è cosa nota e in una certa misura inevitabile.

Ciò che stupisce del cortocircuito interpretativo relativo all’art. 41 è che le identiche questioni affrontate oggi furono già affrontate in relazione all’art. 81, comma 3-bis del Codice dei contratti pubblici del 2006 (D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163).

Ne si dà conto non tanto per mera aneddotica, ma perché il dibattito sorto sul Codice del 2006 offre numerosi spunti per la soluzione, normativa o giurisprudenziale, dell’analogo dibattito sull’art. 41 del Codice odierno.

L’art. 81, comma 3-bis, del Codice del 2006 stabiliva che la migliore offerta fosse «determinata al netto delle spese relative al costo del personale»; e che dunque gli operatori concorressero mediante ribassi sulle sole restanti voci economiche.

L’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP, oggi ANAC), nel documento di consultazione recante “Prime indicazioni sui bandi tipo in data 29 settembre 2011, evidenziò che l’art. 81, se interpretato nel senso di escludere ribassi sul costo della manodopera, avrebbe generato due distorsioni.

Per un verso, il confronto concorrenziale si sarebbe svolto su una percentuale (molto ridotta per commesse ad alta intensità di lavoro) del costo complessivo, con l’effetto di incentivare le imprese a presentare ribassi maggiori al crescere della loro produttività.

Per altro verso, un divieto netto di ribasso sui costi della manodopera avrebbe finito per scoraggiare gli operatori dall’adottare modalità innovative di esecuzione dei contratti pubblici, volte a ottimizzare l’uso delle risorse umane. Una più efficiente organizzazione aziendale o l’utilizzo di tecnologie innovative non avrebbero infatti potuto consentire un più elevato ribasso sui costi della manodopera, con maggiori chance di aggiudicazione della commessa.

La previsione normativa ebbe dunque vita breve: il comma 3-bis, introdotto con DL 13 maggio 2011 n. 70, fu abrogato con DL 6 dicembre 2011 n. 201 a causa delle anzidette problematiche interpretative.

Sennonché analoga previsione fu reintrodotta, seppur “traslata” all’articolo successivo (art. 82, comma 3-bis), con DL 21 giugno 2013 n. 69; con riproposizione degli identici problemi dapprima archiviati con l’abrogazione.

Fu ancora l’AVCP, con segnalazione n. 2 del 19 marzo 2014, a evidenziare le già note problematiche interpretative soffermandosi sugli effetti distorsivi del mercato di un’interpretazione rigidamente volta a escludere la possibilità di ribassi sui costi della manodopera.

Nel solco di quanto evidenziato dall’Autorità si collocarono numerose pronunce giurisprudenziali che conclusero per l’irragionevolezza dell’interpretazione rigida dell’art. 82, comma 3-bis, del Codice, sul presupposto che un’esclusione netta di ogni ribasso sul costo del lavoro calcolato dalla Stazione appaltante, specialmente negli appalti ad alta intensità di manodopera, avrebbe violato frontalmente il principio di libera concorrenza (su tutte Cons. Stato, sez. III, 2 aprile 2015 n. 1743; TAR Toscana, sez. I, 9 novembre 2015 n. 1496; TAR Sicilia, sez. III, 16 luglio 2014 n. 1882).

In attesa di un definitivo assestamento degli orientamenti sul nuovo Codice, resta l’interrogativo sul perché, con un bagaglio di esperienza e una stratificazione giurisprudenziale come quella da ultimo riportata, il legislatore abbia riproposto una formulazione ambigua e contraddittoria come quella dell’art. 41, comma 14, del Codice del 2023.

Avv. Federico Vaccarino